"Il disegno come provocazione immaginativa" di G. Appella (1980)    


All'Insegna del Pesce d'Oro, Milano, 1980
   
[…] Il disegno esalta in Gentilini il problema di sempre: la composizione, e ne affina i mezzi espressivi per restituirli sostanziali nella risonanza di uno spazio immaginato. […]
Il segno guizza tra un oggetto e l’altro per fissarsi su una figura da elaborare, preavverte le prossime melodie del colore, le prepara, ritma le modulazioni compositive, le rende più nitide nei capovolgimenti assunti dal cubismo che smuovono ritmi interni dell’opera senza scomporle anche quando il colore segnala dissonanze. Più la composizione assume una modulazione discordante più si fa limpida e si armonizza internamente. […] Gentilini si appassiona ai suoi temi, li disegna e li dipinge più volte per indagarne la complessa rete di rapporti che si va istituendo tra sé e quei modelli, in una compartecipazione totale.
Una misura in questo lavoro hanno gli “strabismi di fuga e i dispetti prospettici”1, la “prospettiva slabbrata”2 o terremotata, le geometrie scalene. La prospettiva è vista in modo frammentario e ciò porta a continue contraddizioni. Le visioni prospettiche sono differenti con un solo rapporto tra loro e il contrasto non annulla la ricchezza inventiva. Anzi, la prospettiva invertita Gentilini la utilizza come soluzione ultima alle presunte profondità che il disegno ha tirato fuori. Gentilini non deforma per gusto estetico, oscilla sempre tra sfondo e primo piano, contenente e contenuto, esterno ed interno, dentro e fuori, tra figura e natura morta, tra visione paesistica e immagine interiore. Il paesaggio si chiude sulla natura morta fatta dono dell’imprevisto per una più diretta e prolungata meditazione sulle cose. Specchio di un’attenzione, di uno stato d’animo che si riflette nel ribaltamento prospettico, nel segno che al fondo conserva la lontana abitudine alla decorazione della terracotta e ritesse la pelle agli oggetti articolandone l’energia, togliendoli di peso dal circuito della vita quotidiana, dissacrandoli come idoli, ordinandoli nello spazio, componendone le parti per ricomporle in un dialogo tra loro. […] Il colloquio tra gli oggetti avviene attraverso un segno continuo, scivolando sul foglio, senza sentieri obbligati, e le parti in second’ordine a perdersi nello spazio, l’oggetto esaltato a subire la fatica della penna o della matita che setaccia i segni, li spiega, li intreccia, li torce, li distende. Per una “complessa avventura ottica”3 l’oggetto sistemato nello spazio è già un’altra cosa e noi lo riceviamo come combinazione di ricordo naturale, dato sentimentale, sogno ad occhi aperti, cultura distillata a poco a poco con l’istinto. La grazia e l’inventiva faranno il resto. Un tocco d’ironia, infine, per salvare quanto è scivolato nel casuale o nell’effimero. […] 
Gentilini è sempre solenne e popolare, grandioso e ordinario, sensuale e licenzioso, altero e dichiarato, capriccioso e gaio, ameno e frizzante, con “l’estro del cantastorie”4. A ripercorrere le sue ‘stanze’: cattedrali, nudi in esibizione, amanti ritagliate nella carta, nature morte proposte con immagini della pubblicità, tutto appare limpido senza intenzioni nostalgiche o recuperi restaurativi, anzi con un fastidio per le regole dell’accademia e tante dichiarate soste laboriose che rendano più acuta la vista per leggere meglio dentro di sé. […] 
Gentilini cerca di dare alle cose una vita che sia riverbero di bellezza. Ciò che fantastica rende subito familiare, ciò che è reale appare subito fantastico. […] È il “teatro italiano”5, il “teatro dell’esistenza”6: “un mondo in vacanza o in amore, di piaceri infantili e semplici, un mondo che non vorrebbe morire o pensa che non morirà mai”7.   Note:
1. T. Scialoja, 1953
2. L. de Libero, 1962
3. R. Carrieri, 1966
4. L. Lambertini, 1977
5. A. P. de Mandiargues, 1976
6. L. de Libero, 1962
7. L. Sinisgalli, 1975