[…] Gentilini entrò nel fuoco della sua questione, e d’una libertà acquisita per un diritto che reclamava più di un dovere, con la serie delle Cattedrali. In quei luoghi dove esse scamparono al diluvio dei secoli e ciascuna restò a farne museo, Gentilini le presenta al modo di quelle antiche piante di città dove taluni monumenti stanno isolati, l’uno intervallandosi all’altro con vuoti ampi e deserti. Dovunque gli spazi straripano, ora a precipizio dall’alto, ora fluidamente nei lati e verso un “altrove” che non ha importanza d’universo se non per la preminenza di quel panorama solitario, mentre le architetture a sghimbescio, stecchite e risecchite da linee rugose, subiscono scorciature e costrizioni che le mantengono in bilico, su una misura sempre probabile e inventata all’istante. La visione insorge prepotente, ma catafratta e impervia; tra quei vuoti o limiti inattesi si svolgono sommesse le apparizioni di persone animali e oggetti, sparsi e smarriti assumono positure che quel clima di sospensione e di attesa richiede, là intorno si smisurano in maiuscolo e in minuscolo, gli uni accanto agli altri oppure lontani, secondo un’armonia strimpellata ma con incanti senza fine. […] D’una narrativa di Gentilini non può parlarsi come altri vuole per spiegarsi realisticamente una vicenda pittorica che, infine, si svolge solo casualmente in luoghi registrati nelle guide turistiche. Sarà un dire più preciso affermare che si tratta sempre di narrativa metafisica: tanto è obiettiva, liricamente obiettiva, e giustifica un punto di vista personale, ma accessibile per la potenza espressiva che la rende più vera. Pur non celando una discendenza innegabile dall’opus magnum più antico e più alto di De Chirico: la metafisica di Gentilini non è sfogo né evasione di nostalgia, ma un modo assoluto e incontrastabile di vedere l’uomo e le cose e l’ambiente incomunicabili tra di loro, e sempre sul punto di partecipare a un avvenimento che, tuttavia, non riuscirebbe mai ad accordarli insieme. Una realtà siffatta deve mostrarsi, perciò, spoglia d’ogni rapporto con le sue variabili o mutevoli apparizioni nell’opera di Gentilini, tanto più contraddittorie quanto più inquietanti, identificabili solo col passato presente e futuro della poesia, e non altro la pittura vorrebbe essere; contenuta, però, in quella tensione cui mancherà sempre l’attrito per esplodere, n’è talmente esasperata che non può non accertarsi nel movente pittorico che la impone confermandone l’espressionismo, già appariscente e risolto con l’opera 1942-1948, ma in una accezione più nuova che lo definisce metafisico. Sul movente dell’espressionismo metafisico si vedranno ramificare subito altre fioriture, quelle dei Banchetti, le più recenti dei Giardini e delle Spiagge, anche le future, non v’è più dubbio; con una continuità creativa lenta e organica, sempre riconoscibile negli sviluppi d’una fermezza piuttosto rara, e in oggi non se ne conosce che qualche esempio in zone diverse e lontane dell’arte contemporanea italiana, anche opposte e contrarie. […].
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