Sotto il fresco pergolato della Locanda della Via Lattea, mentre gli uccelli del paradiso si dedicavano alla danza prenuziale, Gerolamo Cardano, Guillaume Postel e Raymond Lulle, seduti a tavola intorno a una fiaschetta di ambrosia, giuocavano ai tarocchi con le carte disegnate dal Mantegna. Essi avevano l’aspetto triste, un po’ assente, che hanno i giusti quando giustizia gli è stata resa. L’aria era mossa da lievi effluvii e trasportava con i suoi soffi gli echi del Flauto magico. Le carte venivano buttate sulla tavola con una sorta di cadenza dai tre maghi, ciascuno dei quali vuotava il suo bicchiere per sùbito empirlo di nuovo, e tale era la loro noia che si sarebbe potuto costruire un ponte con i loro sospiri.
- Gioia serafica! diceva Gerolamo.
- Gloriosa eternità! aggiungeva Guillaume.
- Felicità degli eletti! concludeva Raymond.
E le loro voci somigliavano a lugubri lamenti. Ma passò in quel mentre un uomo di nobile e dignitoso aspetto, dal viso incorniciato di riccioli morbidi, vestito con un farsetto viola-rossiccio striato da fili d’oro, e che portava appesi alla propria cintura, il compasso e la squadra, simboli dell’architetto. Il nuovo venuto, provenendo dallo spazio siderale, scivolava distrattamente nell’aria e teneva in mano un cannocchiale con cui fissava, sotto di sé, qualche misterioso e lontano obiettivo. Senza far caso ai propri vicini, si era fermato davanti alla tavola dei giocatori e, con la fronte corrugata, si concentrava nella contemplazione quando Postel, a un tratto, lo riconobbe.
- Ma, è Francesco Castelli, esclamò. Oh, Borromini! Che fai da queste parti? … E che cosa stai osservando con tanta attenzione?
L’architetto, dopo gli scambi di cortesia che esigono le buone usanze, prese posto accanto a loro.
- Ebbene, miei maestri, per parlarvi francamente, mi annoiavo …
- Come noi, interruppero all’unisono i tre iniziati. Ma … continua.
- Mi annoiavo tanto che d’improvviso mi è venuta voglia di rivedere questa valle di lacrime dove abbiamo tutti combattuto e sofferto, questo pianeta Terra dove il tempo ci era così spilorciamente misurato che abbiamo appena potuto imparare il giuoco della campana prima di lasciarlo per sempre.
A queste parole, i giuocatori di tarocchi si alzarono e circondarono il maestro delle spirali, insistendo perché continuasse.
- Ho puntato il mio cannocchiale, riprese il Borromini. Ho cercato qui e là le tracce del mio passaggio. Le mie pietre sono assai annerite, e ho potuto notare che le mie spirali attraggono oggi più gente che in passato. Quando poco fa mi avete interrotto stavo osservando piazza Navona, dove lavorai a lungo. L’orribile fontana del Bernini sfoggia là ancora le sue masse pesanti, ma quello che ha colpito la mia curiosità, è stato, sulla terrazza attigua alla mia cupola, un uomo grande e robusto con folti baffi intento a dipingere indovinate che cosa? I ventidue arcani dei nostri tarocchi.
Gli immortali si guardarono tra loro. Ciascuno prese a turno il cannocchiale al fine di assicurarsi che l’architetto non avesse sognato. Poi, Lulle, il dottore illuminato, riassumendo il pensiero di tutti, enunciò:
“Bisogna andare a vedere la questione più da vicino. Gerolamo, ti prego, tira fuori la tua boccia di cristallo e guidaci verso quel sorprendente mortale.
Fu così che una sera di maggio del 1975, Guillaume Postel, Raymond Lulle e Francesco Castelli, detto Borromini, preceduti da Gerolamo Cardano e dal suo cristallo, discesero su Roma, vi si orientarono, scoprirono la casa di via Santa Maria dell’Anima attraverso la quale si accede alla cupola della chiesa, teatro dei fatti che avevano destato la loro curiosità. Lassù, il pittore esaminava i suoi ventidue arcani, che aveva disposti lungo una parete del soggiorno, e sui quali giuocavano i raggi obliqui del tramonto. Egli fu preso a un tratto da una sensazione strana: l’aria intorno a lui si era impregnata di profumi sottili ed egli udiva, provenienti da molto lontano, echeggiare alle sue orecchie, i sublimi accordi del Flauto magico. In quel momento si materializzarono davanti ai suoi occhi i quattro visitatori del mondo soprannaturale. Vedendo quei prestigiosi fantasmi volteggiantigli intorno senza che i loro piedi toccassero il suolo, il pittore fu preso da stupore e anche, da un po’ di paura, ma i suoi naturali modi cortesi lo indussero a non lasciar trapelare nulla. Invitò gli ospiti inattesi a sedersi, dispose davanti a loro alcuni bicchieri e aprì per far loro piacere una bottiglia di amaro.
Borromini andava in giro nervosamente nella casa di cui aveva, qualche secolo prima, tracciato i piani, e si meravigliava delle trasformazioni che vi erano state apportate. La sua attenzione si concentrava anche sui quadri appesi alle pareti, non sapendo bene se bisognava adombrarsi per la lascìvia delle donzelle nude, o per lo sguardo obliquo dei gatti che lo guardavano di sottecchi. Dopo un’occhiata sulle composizioni di carattere architettonico, ritornò verso il gruppo e puntò l’indice in direzione del pittore.
- Io ti conosco, disse. Tu sei Franco Gentilini, quello che ha dipinto le Cattedrali d’amore.
Lusingato di essere così riconosciuto da un intenditore giunto dall’al di là, il pittore assunse tuttavia un’aria modesta.
- E’ stato molto tempo fa … egli cominciò.
Ma, con suo grande smarrimento, si accorse che qualcosa gli annodava la gola e che neanche più una parola ne poteva uscire. Gli altri studiavano uno dopo l’altro gli arcani rinnovati, sotto lo sguardo inquieto del pittore che aspettava il loro verdetto. I visitatori, però, non sembravano affatto scontenti.
- Vedo, gli disse Guillaume Postel, che hai letto e capito il mio De orbis terrae concordia. Molto bene.
Il buon catalano Raymond Lulle, che era al suo terzo bicchiere d’amaro, lo prese per un braccio.
- Tu hai seguìto le lezioni della mia Ars magna, commentò. Non avresti potuto far meglio. Così ti è stato possibile accostarti al punto vuoto, sostegno della vita e delle forme.
Cardano, teneva nelle sue mani l’arcano XVII, quello delle costellazioni, che rappresenta anche la giovinezza eterna.
- Gentilini, egli disse con aria fintamente severa, sospetto che tu abbia preso molto in prestito dalla mia opera De subtilitate, ma non temere, non hai alcun debito verso di me. Ora tu sai che il magnete bianco attira la carne viva, che il corno di ariete si trasforma in asparagi, e che la verga del lupo essiccata al forno ha poteri ipnotici. Tu hai capito il ritmo delle orbite occulte. Di conseguenza, noi adotteremo i tuoi arcani.
Le bottiglie di amaro si succedevano una dopo l’altra e i corpi trasparenti degli immortali prendevano a poco a poco le tinte ròsee che si possono osservare in occasione delle agapi fraterne. Allo stesso tempo, i filosofi si concedevano lo sfogo di un’allegria infantile. Tenendosi per mano, eccoli abbandonarsi a una ronda sfrenata intorno al pittore, scandendo insieme questo ritornello:
- Separiamo! Separiamo!
L’àrido dall’ùmido,
Il diluìto dal granìto.
Con l’oricello e la cocciniglia,
La vaniglia e la volpe azzurra,
Salutiamo! Salutiamo!
Gl’incomparabili arcani
Dell’alchimista Gentilini
Che ritrova i segreti dell’Uovo …
Il pittore avrebbe voluto aggiungere la sua voce all’unisono del coro celeste, ma a causa di qualche misterioso sortilegio era diventato àfono. Si sforzò ugualmente di mescolarsi al ballo in tondo degli allegri maghi: ahimé! non poteva mantenersi al di sopra del suolo come loro, e ricadde pesantemente sul divano, affondando fra i cuscini. Fu allora che si risvegliò, scosso con mano ferma da sua moglie, Luciana, che si mostrava turbata.
- Ma che cosa stavi sognando, Franco? gli disse. Agitavi le braccia nel sonno, e pronunciavi parole inconsuete come “arido”, “umido”, “diluito”, “granito” …
Intorno a lui tutto sembrava normale e nulla rivelava il passaggio dei suoi strani visitatori, ad eccezione di una bottiglia di amaro vuota, sulla tavola, con intorno cinque bicchieri inspiegabili. Non raccontò quello che pochi istanti prima gli era accaduto, temendo lo si credesse in preda al delirio, ma, da quel giorno, i suoi amici notarono che era diventato più sognatore.
Ciò che nessuno sa, - quel che il pittore stesso ignora, è che da quella data, lassù, nello spazio siderale, sotto il pergolato della Locanda della Via Lattea, si manifesta tutte le sere un’animazione singolare. Seduti a tavola davanti ad alcune fiaschette di ambrosia, mentre la brezza porta seco odori lievi e deliziosi e un’orchestra invisibile suona in lontananza il Flauto magico, Guillaume Postel, Raymond Lulle e Gerolamo Cardano si dedicano alla consueta partita a carte. Ma intorno ad essi, in qualità d’invitati, sono presenti i loro maestri e i loro pari, Pomponazzi e Paracelso, Nicola Flamel e Abramo Giudeo, Jacob Boheme e Dionigi L’Aeropagita, Fabre d’Olivet ed Eliphas Levi: tutti membri fondatori dell’Istituto delle Ricerche Vane. Così, nelle sfere dell’extra mondo, in seno alla durata immemorabile, i beati giuocano all’infinito con i tarocchi disegnati e dipinti da Franco Gentilini.
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