"Franco Gentilini. I tratti del pensiero" di Laura Turco Liveri (2009)    


in: catalogo della mostra antologica M. T. Benedetti (a cura di), Franco Gentilini nel centenario della nascita, Milano, Fondazione Permanente, Milano, Skira editore, 2009
   
I disegni, per un artista, sono solitamente l’intimo diario del proprio pensiero. Per Gentilini, in particolare, la ‘scrittura dell’animo’ è affidata alla linea. Contrariamente ad altri artisti, la linea di Gentilini rimane immagine e, anche nei casi più astratti, costruisce uno spazio visivo collegato ad una visione d’insieme, dai disegni compiuti agli appunti più veloci. Fin dalle primissime copie dagli antichi e nei precoci ritratti di compaesani il tratto è preponderante, e carica su di sé il compito di descrivere il soggetto, di renderne il chiaroscuro e la tridimensionalità. Un andamento continuo, serpeggiante e spesso reiterato su alcuni particolari, per evidenziarne le ombre e i volumi, è il procedimento preferito rispetto al tratteggiato classico, incrociato. Questo processo di resa tridimensionale si trasforma, dal 1926 e grazie allo studio di Degas, nell’evocazione dei volumi, creati attraverso piani di luce che modellano i volti e ne intensificano l’espressività. Al contempo le stesure si ammorbidiscono e si alleggeriscono. […] Nei paesaggi di Faenza e dei dintorni, […] il tratto descrive il soggetto evidenziando particolari ombre “a fil di linea” e, in alcune zone, ricama arabeschi che dialogano con il foglio, alla ricerca di un andamento compositivo e visivo astratto. Nonostante un gruppo di disegni dal 1933 al 1935 circa, più vicini ai dettami novecentisti del regime, che vede una figurazione stilizzata e irrigidita da certo simbolismo didascalico, la capacità narrativa di Gentilini si esprime liberamente nelle illustrazioni per le riviste letterarie. In “Quadrivio”, “L’Italia Letteraria” e “La Fiera Letteraria” – collaborazione che inizia nel 1934 - il tratto si “elettrifica” tramite il movimento delle figure, portando nel suo andamento svirgolato e compendiario, il piacere dell’autore per l’ironia e la dissacrazione. Un’ironia talvolta ‘graffiante’, che incide la carta asportandone l’inchiostro e commenta i tratti somatici del soggetto impastandone l’acquarellatura anche con le dita […]. Nelle scene ad illustrazione di racconti o romanzi a puntate, il tratto si affastella ancora su alcuni particolari, ispessendone e chiaroscurandone i contorni, e, padrone del foglio, fonda una nuova architettura dell’immagine. Spesso è la stessa prospettiva, molto scorciata, che concorre a rendere ironica la scena, costringendo i personaggi a pose grottesche, in un’alterazione deformante delle proporzioni e in una disposizione compositiva a volte in profondità, a volte sciolta e bidimensionale. Godibili in tal senso sono le scene affollate che illustrano la Commedia Umana di William Saroyan (1944-45) […]. Il meccanismo dell’iperbole caricaturale consente infine a Gentilini, animato dall’osservazione di ciò che lo circonda e dal commento critico dei costumi umani, di dare un addio commosso e affettuoso ad un mondo popolare ancora ottocentesco, evidenziando allo stesso tempo l’eterno, pirandelliano gioco delle parti, che muove il nostro agire sociale. Un gioco magistralmente illustrato negli undici disegni per la Metamorfosi di Franz Kafka, iniziati nel 1949 e stampati in facsimile nel 1953, che trovano nel racconto dello scrittore praghese il loro perfetto corrispondente letterario. Allo stesso tempo, costituiscono un importante punto di passaggio verso la futura concezione lineare e prospettica, ravvisabile nei particolari, finestre e tavoli con sopra vassoi pieni di vasellame. Una tale visione del mondo, così conclusa e internamente articolata, continua a vivere nel tratto che nel tempo descrive, come in una lente deformante, amici e personaggi di rilievo, scrittori, poeti, uomini politici e di cultura, galleristi, collaboratori e talvolta artisti. Riguardo agli altri filoni espressivi che ben presto si definiscono, la pungente ironia del pittore si ammorbidisce in un atteggiamento sornione nell’immaginare i suoi nuovi attori: nuotatori, fidanzati, commensali seduti a improbabili tavoli senza gambe, con Salomé danzanti sullo sfondo di grandi Cattedrali. Originali icone di un mondo immaginario che sul piano stilistico si traduce nella forma sintetica, quasi postcubista, degli anni Cinquanta, una forma sempre più essenziale nelle linee e nella scansione compositiva, netta nell’alternanza bianco-nero/luce-oscurità. Un tratto continuo e pulito assorbe la luce, restituendola lungo le direzioni sbieche di una prospettiva ribaltata di ispirazione tardoromana, bizantina e perfino egizia. Un complesso criterio compositivo smentisce infatti la convenzionale grammatica visiva, alternando nella stessa opera frontalità e profondità. La semplicità e il nitore apparentemente convincenti della scena rappresentata, creano in realtà uno spaesamento surreale e un persistente effetto di sospensione e di incanto poetico. […] Un incanto che, nonostante il protagonismo assoluto della linea, si completa con il colore, tempera o acquarello, diluito o dall’intenso cromatismo. Contemporaneamente ai dipinti, si svolge una ricerca di natura materica, che si traduce nel tentativo di integrare costruttivamente segno e colore. Nel corpus delle opere su carta emergono infatti esempi nei quali il disegno è tracciato a pennello con segni veloci, mentre intense campiture ad acquerello e a tempera coprono le superfici rispettandone i contorni predefiniti […]. In queste carte, il tratto, caricato della funzione di contenere le zone cromatiche, risulta stranamente rigido. Già dal 1957, però, le campiture, più libere rispetto ai contorni, si alleggeriscono e si arricchiscono di vibrazioni luminose e pulviscolari, fondendosi con i piani evocati dalla narrazione visiva, ritmicamente strutturata da un tratto più ‘elastico’ e resistente che regge l’intera tessitura della scena. Nella tempera Figure a tavola, del 1957, il colore si equilibra, definitivamente, con la composizione architettonica, già articolata perfettamente nel bianco-nero della scansione postcubista degli inizi degli anni Cinquanta. Forte di questa ritrovata azione strutturale, dal 1959 il filo del disegno torna veicolo di luce e di resa volumetrica, concentrandosi solo sui soggetti che l’autore intende rappresentare e lasciandoli sospesi nel bianco del foglio. Si tratta di un gruppo di appunti che mutua il tratto prevalentemente dai piccoli studi per Cattedrali […]. Sono gli appunti di grattacieli e ponti sull’Hudson presi a New York in occasione della personale alla John Heller Gallery, e utilizzati per illustrare il n. 2 del 1960 della rivista “Fortune” di Chicago, che costituiscono un altro spartiacque nel lavoro di Gentilini. La visione di un mondo diverso come quello americano si traduce infatti, nella mente dell’artista, in un nuovo modo di costruire l’opera. Se da un lato la suggestione dei grattacieli diventa il reticolato tremolante che attraversa le Cattedrali degli anni successivi, dall’altro un tratto chiaroscurale, incide il soggetto nella retina dello spettatore. Una costruzione invertita ricava l’immagine attraverso una convessità visivamente indotta sia dalle scansioni geometriche dell’insieme sia dai contrasti bianco-nero delle campiture […]. Nei disegni di alberi della prima metà degli anni Sessanta, in particolare, ghirigori concentrici incastonano i piani dell’immagine in intarsi di luce. Lo stesso procedimento porta, nei dipinti, a sfaccettature scavate in negativo nella tessitura bianca del gessetto sul fondo nero. Un’immagine stretta come in una ragnatela imperlata di rugiada costruisce, ad esempio, l’olio su tela sabbiata Giardino con biciclette, databile 1963. I contorni perdono la supremazia del racconto a favore del corpo dell’immagine, risentendo del meccanismo creativo dei collages, già di per sé tridimensionali e preparando i monemi figurali necessari alla narrazione degli anni Settanta. Interessanti in tal senso, sono cinque pannelli del 1965, realizzati come specchiatura decorativa di un armadio, magistrali per la sintesi figurale e per l’essenzialità della tecnica, collage di carta da pacchi e di giornale, completata dal carboncino Conté e dalla tempera. La Figura maschile è costruita con l’ombra di se stessa, con l’incavo scavato dalla colla nel foglio: un corpo al contrario fermo per un attimo di fronte allo spettatore, che, in una visione accecante da gibigianna d’agosto, ci racconta storie incredibili. Con i collages Gentilini spazia infatti in una surrealtà nuova. La ripartizione geometrica del foglio si semplifica e si tramuta piuttosto in organizzazione concettuale di simboli sospesi, ‘galleggianti’ su sfondi di paesaggi svuotati da ogni altro particolare. Risaltano oggetti o enigmatici personaggi perfettamente definiti in sé, ma svincolati e incongruenti rispetto al paesaggio. La loro disposizione, secondo un ordine compositivo essenzialmente bidimensionale, evoca una mappa magica e arcana, e ancora una volta ‘incantata’. La medesima impostazione si riscontra nella tempera graffita su fondo nero Uccello e oggetti nel giardino, 1970, un “Orto dei Semplici” che con i misteriosi oggetti sul prato ci suggerisce una salvifica medicina per l’animo, e costituisce quasi una summa dell’immaginario metafisico gentiliniano di questi anni. Le modalità creative finora sperimentate si arricchiscono, negli anni Settanta, di un più variato cromatismo e di un tratto disegnativo più morbido e descrittivo. La ricerca stilistica passa in secondo piano rispetto all’esigenza narrativa, e la congeniale tendenza del pittore all’osservazione si traduce nei ritratti della figlia Orsola con le nipotine Camilla e Daria e della seconda moglie Luciana, nonché nella divertita registrazione del cambiamento dei costumi dopo il ’68. Appaiono giovani distesi nei prati, mentre cantano nel Giardino del Lussemburgo a Parigi o escono dai negozi alla moda di Via Nazionale o di Piazza di Spagna a Roma. Alcuni degli attori consueti mutano atteggiamenti e pose: i fidanzati, sua iconografia tipica, finora seduti al Caffè assorti e pensierosi in modo ieratico, già dalla metà degli anni Sessanta escono dalla scatola astratta del mondo immaginario, quel “mondo parallelo al mondo” di cui parla Alain Jouffroy [1980], per muoversi invece in uno spazio più ampio e realistico e, liberi, si amano, si baciano, si abbracciano, si guardano intensamente o ballano tanghi appassionati, nell’urgenza fisica di starsi vicino. Non a caso, infatti, figure e soggetti presentano ora un maggiore coinvolgimento fisico, dagli studi per un autoritratto con Luciana, ai soggetti biblici come la moglie di Putifarre o gli intramontabili Giuditta e Oloferne (dove la testa di Oloferne è quasi sempre un autoritratto dell’artista); dalla coppia di Adamo ed Eva alle piccanti illustrazioni per i Sonetti di Giorgio Baffo e a personaggi letterari come quelli del Canto ventesimottavo dell’Orlando Furioso dell’Ariosto, fino a concludersi con gli appassionati amanti-fidanzati delle due matite preparatorie per il dipinto Una sera a Chartres (n. 2), del 1979, ancora un autoritratto dell’artista con la moglie, sullo sfondo di una libera interpretazione della Cattedrale francese Notre-Dame de Laon. Il ritratto di Luciana viene, qui come in altre opere, trasfigurato in un ideale iconografico. Un modello ricorrente che arricchisce le innumerevoli figure femminili che costellano, soggetti privilegiati, il percorso di questo straordinario artista-artigiano dell’umano. Nei volti e nei ritratti, nei nudi in piedi, distesi o a mezzobusto delle ‘sue’ donne, Gentilini usa un tratto più morbido, anche durante la fase sintetica postcubista degli anni Cinquanta. Un tratto più volte interrotto e ripreso nell’iter descrittivo della figura, come a rivelare un dialogo con se stesso e con il soggetto che emerge passo passo dalla sua penna, quasi a seguire, con amore e delicatezza d’animo, il carattere e la storia che si evidenzia dalle fattezze dei personaggi. Quasi sempre Gentilini non usa modelle dal vero, spesso disegna a memoria; le donne rappresentate nelle sue opere sono in realtà l’immagine del femminile rispecchiata in lui, in un gioco di rimandi di estrema fecondità creativa, che non esula da felici contaminazioni letterarie e poetiche e da collegamenti con l’immaginario collettivo. Del femminile Gentilini coglie la morbidezza e la fragilità fisica, espressa proprio da quel segno volutamente incerto che delinea forme abbondanti e posture timide, ora poco appoggiate in terra, ora consapevoli di sé e del proprio corpo; ne ritrae la solitudine e al contempo la forza, la capacità di sentirsi toccandosi il corpo, i capelli, le parti intime, libere da ogni inibizione; le disegna pensierose, sorridenti, invitanti, o accompagnate da un’amica, in un passatempo leggero di confidenze o intimità. Nei ritratti, […] la guardinga ma consenziente e fiduciosa apertura dello sguardo o la posa, indicativa del carattere del personaggio, mostrano con chiarezza il gioco dialogico, reale o immaginato, del pittore col proprio soggetto. Un gioco che coinvolge l’osservatore nella complicità familiare di un racconto infinito, che è anche il racconto della vita.