"Luciana Gentilini. Continuare il tempo" di Nicola Micieli (2014)    


in “Contemporart”, Modena, a. XXIV, n. 77, gennaio marzo, p. 63
   
NM [N. Micieli], Luciana Gentilini. Continuare il tempo<\i>, in “Contemporart”, Modena, a. XXIV, n. 77, gennaio marzo 2014, p. 63

Continuare il tempo. Questo il titolo di un libro di memoria, un colloquio intimo e intenso di Luciana Giuntoli con l’artista Franco Gentilini, suo marito, appena pubblicato presso De Luca Editori d’Arte. Diciamo subito che il proposito di dare continuità al tempo, interrotto dalla scomparsa di Franco, avvenuta nel 1981, è in realtà un avvertire flagrante e persino urgente, all’atto della rievocazione e della confidenziale scrittura, il proprio vissuto con l’artista. Dunque un tempo che rifluisce e si ricrea intatto. Sulla scorta di sensazioni, pensieri, turbamenti, meraviglie, sempre legati alla propria vita in comune con Gentilini. Nei flash della scrittura come nelle più rare immagini di repertorio, scorrono le premesse, lo sviluppo e gli esiti della storia di una donna che riconosce, specchiata nei dipinti di Gentilini, la propria identità, come se la pittura che al suo sguardo pareva scaturire quasi magicamente dalle mani dell’artista, non fosse che la molteplice proiezione del proprio mondo interiore.
I documenti memoriali del vissuto che Luciana usava consegnare a sparse annotazioni, più che pagine di diario, si rigenerano vivide, come accadessero oggi in questo viaggio retrospettivo che invero è un romanzo d’amore. Che ha gli slanci e gli abbandoni, il fervore e le malinconie di una storia d’amore mai appagata dal proprio realizzarsi, e certo mai rassegnata al compimento inesorabile del destino. In questo senso l’amore seguita a rivelarsi nella ricomposizione attualizzata della memoria. Non a caso non rispettano la cronologia le vicende che si dipanano nel racconto e che coinvolgono personaggi e luoghi diversi, epicentro Roma e il suo contesto artistico, e diramazioni italiane e internazionali da Pisa a Parigi a Faenza a Praga a Bruxelles al Sud Africa. Ogni passo del libro pare una stanza poetica, che Luciana racconta come in presenza calda e pungente di lui: le inclinazioni del suo animo e gli umori, le sue abituali occupazioni e le imprevedibilità, l’estro suo di dar forma e vita alle figure dell’immaginario come semplicemente richiamandole alla superficie della tela, con uno schiocco di dita. Ed è così viva e pervadente la presenza di lui da travalicare il confine della sua esistenza materiale, per durare a farsi attuale nella continuità dell’opera. Alla quale Luciana si è consacrata per difenderla e favorirne la diffusione, oltre il già considerevole grado raggiunto vivente l’artista.
Presso De Luca Luciana Gentilini aveva pubblicato da non molti anni, a cura di Appella, il monumentale catalogo generale della pittura di Franco, un’impresa sfibrante di ricostruzione analitica di un mosaico composito e per buona parte disperso, di opere, documenti, testimonianze. Basterebbero quei voluminosi e densi tomi ad attestare l’autenticità e la tenuta dell’amoroso legame di una donna al proprio uomo, nel luogo dell’arte sua che gli sopravvive. La lettura di queste pagine così partecipi e coinvolgenti dice tuttavia di più. Nel senso che rivela anche l’impegno al quale è chiamato che eredita la memoria e l’opera di un artista, quando non si voglia utilizzarle come una comoda rendita da posizione. Luciana Gentilini ci offre in queste pagine anche un quadro personalmente attraversato e la sua parte combattuto, del sistema dell’arte con i suoi riti, i suoi miti, le sue mistificazione e falsificazioni, i suoi non sempre limpidi interessi dai quali occorre difendere gli artisti che si amano e ci appartengono. Specie quando non possono più farlo da soli.